• Dicembre 13, 2024 1:12 pm

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La molecola dell’amore fa bene al cuore

Il gruppo di ricercatori della Sapienza, coordinati dal professor Andrea Lenzi, ha pubblicato su Circulation, la rivista più prestigiosa del settore cardiovascolare, una ricerca che potrà rivoluzionare l’uso di alcuni farmaci (in particolare il Sildenafil – Viagra®) finora usati solo per disturbi di natura sessuale: le note pastiglie stimolanti, non solo non sarebbero pericolose per il cuore come si pensava, ma avrebbero al contrario effetti benefici su determinate patologie cardiovascolari. I problemi che si sono verificati in concomitanza con l’uso di tali sostanze sarebbero infatti da imputarsi all’associazione con altri medicinali.

I ricercatori della Sapienza hanno dimostrato che questi farmaci agiscono su una molecola bersaglio, la fosfodiesterasi di tipo 5, che è in grado di intervenire sulle trasformazioni cardiache indotte dal diabete mellito. Il diabete come l’ipertensione o le altre malattie del sistema circolatorio, infatti può provocare un ingrossamento del cuore e una alterazione delle fibre del ventricolo sinistro che durante il battito si contrae di meno facendo ruotare di più il cuore. Tali alterazioni sono state misurate con una particolare tecnica di risonanza magnetica.

In collaborazione con le strutture di radiologia e di cardiologia della Sapienza, il gruppo del professor Lenzi ha dimostrato che l’inibizione della fosfodiesterasi di tipo 5 è in grado di riportare queste alterazioni a un livello vicino alla normalità nei pazienti diabetici e a confermare con indagini molecolari l’azione del farmaco sulle cellule cardiache.

“Questi dati potrebbero aprire le porte a una nuova classe di farmaci anti-rimodellamento, in grado di contrastare lo scompenso cardiaco che rappresenta una causa di morte nel paziente diabetico” -afferma il prof. Lenzi – “tale risultato mi rende particolarmente orgoglioso perché il successo della ricerca viene da un gruppo di giovani studiosi, Elisa Giannetta (ricercatrice a tempo determinato di 33 anni) e Andrea Isidori (ricercatore confermato di 37 anni) a testimoniare, che l’università italiana è ancora in grado di investire nelle giovani risorse e competere con ricerche di livello internazionale”.

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