• Dicembre 4, 2024 6:51 am

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Alluminio, arsenico, uranio, berillio. Non è un semplice elenco di metalli e di agenti chimici tossici. O meglio si; ma il punto è che residui di queste sostanze sono state rilevate in alcune acque minerali italiane; a rivelarlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori delle Università di Napoli, del Sannio, di Bologna e di Cagliari. E’ vero che le etichette delle bottiglie riportano informazione relative alla composizione delle acque; tuttavia, se si fa riferimento a elementi della cui presenza ci sono soltanto tracce, la normative vigenti non prevedono alcun obbligo di indicazione.

Il problema sorge quando queste tracce superano i limiti di sicurezza per la salute. Stando ai risultati delle analisi effettuate dagli scienziati italiani, sarebbe questo il caso di alcune acque imbottigliate nel nostro territorio.

Interessante osservare che le norme relative all’acqua di rubinetto risultano essere più restrittive di quelle previste per le acque in bottiglia; così, per esempio, il berillio, classificato come cancerogeno di classe A, nelle acque potabili non può superare una concentrazione di 4 microgrammi per litro, mentre non è sottoposto ad alcuna restrizione per quello che rigurada le acque minerali.

I risultati di questa indagine suggeriscono l’urgenza di una revisione delle norme che regolamentano i vincoli di tollerabilità di determinati componenti nelle acque minerali; sarebbe opportuno, come evidenziato dagli stessi ricercatori, che ci fosse almeno un adeguamento alle restrizioni previste per l’acqua potabile.

Un’ultima considerazione è doverosa. I dati di questo studio sono stati pubblicati su un articolo apparso nel numero di Maggio della rivista Le Scienze, e poi diffusi su qualche altro sito on line, ma come la notizia non ha trovato risonanza sui media a diffusione nazionale?

Fonti: Le Scienze

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